La Corte di Cassazione, Sez. III, con la sentenza n° 26575 del 13 luglio 2021, si è pronunciata sull’applicabilità della confisca in caso di emissione ed utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti

L’imputato veniva condannato per aver emesso una fattura per operazioni parzialmente inesistenti, emessa da una società da lui amministrata in favore di altra società, dallo stesso sempre amministrata, che l’aveva indicata nella dichiarazione annuale delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto. Con la sentenza di condanna veniva, altresì, disposta la confisca del illecito profitto.

Con il ricorso per Cassazione l’imputato deduceva, tra i vari motivi, la violazione dell’art. 12-bis D.Lgs. 74/2020 relativo alla confisca dei suoi beni, ritenendola illegittima stante l’assenza di un danno per l’Erario, e, quindi, di un profitto illecito.

Afferma la Suprema Corte che, in tema di reati tributari, il profitto del reato confiscabile è costituito dal risparmio economico derivante dalla sottrazione degli importi evasi alla loro destinazione fiscale, essendo indifferente se l’imposta evasa, in concreto, sia stata non pagata o portata a credito dal contribuente. Precisano i Giudici che l’evasione di un’imposta, tuttavia, è dato indefettibile per poter affermare che un profitto illecito vi è stato, non essendo invece sufficiente che, a fronte di un credito IVA non spettante – maturato per l’indicazione nella dichiarazione di una fattura per operazioni inesistenti ed eventualmente fruibile in futuro – lo stesso non sia mai stato in concreto utilizzato per evitare il pagamento di imposte dovute.

Nel caso di specie, il credito IVA risultante dalla fraudolenta dichiarazione da parte dell’imputato non è mai stato utilizzato, rendendo così illegittima la disposta confisca.