La Corte di CassazioneSezione II, con la sentenza n. 11959 del 10 aprile 2020, si è pronunciata in materia di appropriazione indebita, con specifico riferimento alla qualificazione giuridica dei file informatici .

I Giudici della Corte, chiamati a valutare la condotta del dipendente di una società, il quale, a seguito di licenziamento, riconsegnava il computer aziendale dopo, però, averlo formattato ed averne copiato i dati sul proprio computer personale, si sono soffermati sulla qualificazione giuridica dei file informatici . Nello specifico, i file informatici vanno qualificati come cosa mobile, suscettibile, quindi, di condotte appropriative?

A tale quesito, la Corte dà risposta affermativa: i file costituiscono, ai sensi della legge penale, una “cosa materiale” e, pertanto, possono essere oggetto di appropriazione indebita .

I Giudici, superando un precedente e risalente orientamento ed accogliendo le nozioni informatiche comunemente accolte, affermano che il file è un bene materiale, dotato di una dimensione fisica. Esso è l’insieme di dati, archiviati o elaborati , cui sia stata attribuita una denominazione secondo le regole tecniche uniformi; si tratta della struttura principale con cui si archiviano i dati su un determinato supporto di memorizzazione digitale. Questa struttura possiede una dimensione fisica che è determinata dal numero delle componenti, necessarie per l’archiviazione e la lettura dei dati inseriti nel file. Questo insieme di dati, cioè di informazioni, può anche essere spostato da un supporto ad un altro.

Tale impostazione, prosegue la Corte, è rispettosa del principio di tassatività della fattispecie penale, in quanto non rappresenta altro che un’interpretazione assolutamente prevedibile di un precetto normativo palesemente obsoleto, che viene in tal modo adeguato alla realtà fenomenica e tecnologica attuale.