La Corte di Cassazione, Sezione VI, con la sentenza n. 1657 del 16 gennaio 2020, si è pronunciata in materia di reato di rifiuto di atti d’ufficio ex art. 328 I comma c.p., nell’ipotesi di plurime formali sollecitazioni ad agire rivolte al pubblico ufficiale rimaste senza esito.

Nel caso sottoposto alla Corte, un sindaco veniva sottoposto a giudizio per il reato di rifiuto di atti d’ufficio (art. 328 I comma c.p.), per avere, a fronte di reiterate denunce, omesso di assumere qualunque iniziativa diretta ad imporre al proprietario di un’area lo smaltimento di lastre di amianto accatastate alla rinfusa ed all’aperto su di un terreno.

I Giudici della Corte, aderendo al dominante orientamento giurisprudenziale, confermano la natura istantanea del reato di rifiuto di atti d’ufficio urgenti previsto dall’art. 328 I comma c.p., che può palesarsi sotto forma di rifiuto implicito ovvero di persistente inerzia omissiva a fronte di un’urgenza sostanziale o di una situazione che qualifichi l’atto omesso come dovuto.

Tanto premesso, per la Corte di Cassazione il reato istantaneo di rifiuto, esplicito o implicito, di un atto dell’ufficio, imposto da una delle ragioni espressamente indicate dalla legge (giustizia, sicurezza pubblica, ordine pubblico, igiene e sanità), può manifestarsi come reato continuato (concorso materiale omogeneo) quando, a fronte di formali sollecitazioni ad agire rivolti al pubblico ufficiale rimaste senza esito, la situazione potenzialmente pericolosa continui ad esplicare i suoi effetti negativi e l’adozione dell’atto dovuto sia suscettibile di farla cessare.

Nel caso di specie, il reato si è consumato ogni volta che l’imputato ha rifiutato di intervenire a fronte di formali sollecitazioni prospettanti la sussistenza di quella particolare situazione concreta (la presenza di rifiuti di amianto).