La Corte di Cassazione, Sezione III, con la sentenza n° 43262 del 22 ottobre 2019, si è pronunciata in tema di detenzione di sostanze stupefacenti ai fini di spaccio, precisando i criteri probatori da adottare per fondare l’affermazione di responsabilità dell’imputato.

In materia di stupefacenti, i Giudici della Corte, aderendo all’ormai consolidato orientamento giurisprudenziale, affermano che il possesso di un quantitativo di droga superiore al limite tabellare, previsto dall’articolo 73 comma l-bis, lettera a) D.P.R. 309/1990, da solo non costituisce prova decisiva dell’effettiva destinazione della sostanza allo spaccio.

Il mero dato del superamento dei suddetti limiti tabellari, prosegue la Corte, non vale a invertire l’onere della prova a carico dell’imputato, ovvero a introdurre una sorta di· presunzione, sia pure relativa, in ordine alla destinazione della sostanza a un uso non esclusivamente personale.

La valutazione in ordine alla destinazione della droga deve essere effettuata dal giudice attraverso l’analisi cumulativa di parametri quali: la quantità, la qualità e la composizione della sostanza; le modalità di presentazione della sostanza (eventuale frazionamento); la disponibilità di attrezzature per la pesatura o il confezionamento della sostanza; il reddito del detentore e del suo nucleo familiare; le altre concrete circostanze del caso.

Sul punto, il dato della fuga tentata dall’imputato alla vista delle forze dell’ordine (come nel caso di specie) rappresenta un elemento neutro, in quanto può essere giustificata dal fatto che anche la mera detenzione per uso personale espone il detentore a conseguenze personali sfavorevoli, in relazione alle sanzioni amministrative previste dall’art. 75 del D.P.R. 309/90.