La Corte di Cassazione, Sezione III, con la sentenza n° 41604 del 10 ottobre 2019, si è pronunciata in materia di comunicazioni indesiderate contenenti materiale pubblicitario (c.d. spamming), la cui condotta è prevista e punita dall’art. 167, in relazione all’art. 130, del Codice della Privacy.

Nel caso in esame, all’imputato veniva contestato il delitto di illecito trattamento di dati in relazione al c.d. spamming, ovvero le comunicazioni indesiderate, perché prive del consenso dell’utente, procurando, in tal modo, un nocumento. In particolare, l’imputato aveva inviato 14 comunicazioni mail differenti ad un totale di 93 indirizzi di posta elettronica appartenente ad iscritti di un’associazione con cui pubblicizzava propri corsi di aggiornamento.

Secondo i Giudici della Corte, affinché tale condotta assuma rilievo penale, occorre che si verifichi, in concreto e per ciascun destinatario, un effettivo “nocumento”. Per “nocumento” deve intendersi un pregiudizio giuridicamente rilevante di qualsiasi natura, patrimoniale o non patrimoniale, subito dal soggetto cui si riferiscono i dati protetti oppure da terzi, quale conseguenza dell’illecito trattamento.

Applicando tale principio al caso in esame, il “nocumento” non può consistere nel solo fastidio di dover cancellare di volta in volta messaggi non desiderati, richiedendosi, al fine dell’attribuzione di una responsabilità penale, un quid pluris, consistente in un pregiudizio concreto ed effettivo, che si rilevi proporzionato rispetto all’invasività del comportamento di chi invia i contenuti sgraditi.

Occorrerà, pertanto, un’adeguata verifica fattuale. E tale verifica sarà volta ad accertare, ad esempio, se l’utente abbia segnalato al mittente di non voler ricevere un certo tipo di messaggi e se, nonostante tale iniziativa, l’agente abbia continuato a inviare messaggi indesiderati, creando così un reale disagio al destinatario.