La VI Sezione della Corte di Cassazione, con la sentenza n° 28251 del 27 giugno 2019, si è pronunciata in merito alla configurabilità del reato di maltrattamenti in famiglia ex art. 572 c.p. nel caso di condotte vessatorie sul luogo di lavoro, c.d. mobbing.

Secondo i Giudici della Corte le pratiche persecutorie realizzate ai danni del lavoratore dipendente e finalizzate alla sua emarginazione (c.d. mobbing) possono integrare il delitto di maltrattamenti in famiglia esclusivamente qualora il rapporto tra il datore di lavoro e il dipendente assuma natura para-familiare, in quanto caratterizzato da relazioni intense ed abituali, da consuetudini di vita tra i soggetti, dalla soggezione di una parte nei confronti dell’altra, dalla fiducia riposta dal soggetto più debole del rapporto in quello che ricopre la posizione di supremazia.

Nel caso sottoposto al giudizio Corte, la persona offesa non ricopriva la qualifica di lavoratore subordinato ma di dirigente amministrativo, dunque di un soggetto che, sebbene vittima di condotte vessatorie, non aveva instaurato con il direttore generale una comunanza di vita assimilabile a quella caratterizzante la vita di una famiglia, nel modo sopra descritto.

La condotta del direttore generale, conclude la Corte, si riconduce al reato di abuso di mezzi di disciplina, ex art. 571 c.p., da parte del superiore gerarchico nei confronti di persona sottoposta alla sua vigilanza in contesto lavorativo.