La Corte di Cassazione, Sezione VI, con la sentenza del 25 settembre 2018, n.54640, è tornata a pronunciarsi in merito alle nozione di “interesse” nell’ipotesidi responsabilità degli Enti ex D.Lgs. 231/2001.

In particolare, la Corte ha affermato il principio di diritto in base al quale, in tema di responsabilità degli Enti, quando si deve verificare l’esistenza di un interesse della società in capo al soggetto agente che pone in essere il reato presupposto della responsabilità della società, pur essendo la nozione di “interesse” dell’Ente caratterizzata (a differenza della nozione di vantaggio) da una prevalente connotazione soggettiva, non può prescindersi – specie se il reato è stato commesso nel prevalente interesse del singolo o di terzi – da un confronto con un parametro oggettivo, non rimesso esclusivamente ad imperscrutabili intendimenti dell’agente, ovvero da una considerazione dei benefici che l’ente medesimo ha tratto effettivamente dalla vicenda delittuosa.

Tale valutazione non va svolta considerando isolatamente le singole conseguenze del reato ma considerando, complessivamente ed in un’ottica temporale più vasta rispetto a quella che considera il solo momento di svolgimento della condotta illecita, quali siano gli effetti che in capo alla persona giuridica sono derivati dal reato stesso.

Si pensi, ad esempio, all’amministratore il quale, cosciente dell’intenzione dell’assemblea di rimuoverlo dall’incarico, corrompa un pubblico ufficiale per evitare l’applicazione di sanzioni tributarie a carico della società al fine specifico di evitare la sua rimozione.

In tale ipotesi non potrà essere sostenuto che la società si sia avvantaggiata della condotta corruttiva tenuta dall’amministratore, in quanto a fronte delle sanzioni tributarie non versate si contrappone l’effetto altamente pregiudizievole per l’impresa di non poter rimuovere un soggetto incapace dal ruolo di dirigente dell’azienda.