La II Sezione della Corte di Cassazione, con la sentenza n° 44228 del 4 ottobre 2018, si è pronunciata in materia truffa contrattuale ed, in particolare, sul valore da attribuire al mero silenzio ai fini della configurabilità del reato ex art. 640 c.p.

I Giudici della Corte, confermando il dominante orientamento giurisprudenziale, hanno affermato il principio secondo cui, in materia di truffa contrattuale, anche il silenzio, maliziosamente serbato su alcune circostanze rilevanti sotto il profilo sinallagmatico da parte di colui che abbia il dovere di farle conoscere, integra l’elemento oggettivo del raggiro, idoneo a determinare il soggetto passivo a prestare un consenso che altrimenti avrebbe negato.

La Corte ha rigettato il ricorso dell’imputata, confermando la sentenza della Corte d’Appello di Bologna, che, a sua volta, aveva confermato la condanna di un medico per il reato di truffa aggravata, per avere indotto in errore i pazienti sul regime applicabile alle visite mediche per il rinnovo della patente, facendogli credere, contrariamente al vero, che la prestazione doveva essere resa in regime di libera professione e non in convenzione. Nessuna informazione veniva fornita ai pazienti circa la possibilità di effettuare quel tipo di visita in regime di esenzione. E’, dunque, in tale voluta e decisiva carenza informativa che la Corte territoriale ha ravvisato il raggiro, quale elemento costitutivo della truffa.

Infine, i Giudici della Suprema Corte hanno ritenuto irrilevante, ai fini della sussistenza del requisito dell’ingiusto profitto, la circostanza che la prestazione sia stata comunque resa. La natura “ingiusta” del profitto, infatti, va ravvisata nella stipulazione del contratto dovuta all’omissione informativa circa la possibilità di eseguire la visita con il semplice pagamento del ticket. Contratto che altrimenti non sarebbe stato stipulato.