La Corte di Cassazione, Sez. IV, con la sentenza n° 20152 del 21 maggio 2024, si è pronunciata in materia di autoriciclaggio, previsto e punito dall’art. 648 ter 1 c.p., soffermandosi sul suo rapporto con il reato “presupposto”.

La Suprema Corte, chiamata a pronunciarsi su un caso di autoriciclaggio legato ad un reato di bancarotta fraudolenta per distrazione, ha precisato quali siano gli elementi costitutivi del reato di cui all’art. 648 ter 1 c.p.

I Giudici della Corte hanno ritenuto che affinché sia integrata una condotta di autoriciclaggio è necessario un quid pluris, cioè un’attività ulteriore rispetto a quella propria del reato “presupposto”, che eviti indebite sovrapposizioni applicative tra le due disposizioni, e che denoti l’attitudine dissimulatoria della condotta rispetto alla provenienza delittuosa del bene.

È configurabile la condotta dissimulatoria tipica dell’autoriciclaggio nel caso in cui, successivamente alla consumazione del delitto presupposto, il reinvestimento del profitto illecito in attività economiche, finanziarie o speculative sia attuato attraverso operazioni idonee ad ostacolare la sua ricerca, l’individuazione dell’origine illecita e il successivo trasferimento (ad esempio, il mutamento dell’intestazione soggettiva del bene, in quanto la modifica della formale titolarità del profitto illecito).

 

Con riferimento al caso specifico, i Giudici hanno operato un distinguo tra il caso in cui l’autoriciclaggio si identifichi nella distrazione di sole somme di denaro dalla fallita ad altre società – in cui si è ritenuta l’effettiva coincidenza delle due condotte – da quella in cui oggetto della contestazione ex art. 648 ter 1 c.p. non sia la sola attività distrattiva di somme dalla società fallita bensì, anche, le attività successivamente poste in essere con il denaro distratto dalle società beneficiarie.