La Corte di Cassazione, Sez. VI, con la sentenza n° 1603 del 17 gennaio 2022, si è pronunciata in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato ex art. 168 bis c.p.

Il Procuratore Generale presso la Corte di Appello proponeva ricorso per Cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale che aveva dichiarato la sospensione del procedimento e ammesso l’imputato alla messa alla prova, unitamente alla sentenza di proscioglimento. In particolare, nel ricorso si contestava mancata previsione di statuizioni risarcitorie nell’ordinanza ammissiva della messa alla prova.

I Giudici della Suprema Corte, l’elisione delle conseguenze dannose della condotta criminosa o il risarcimento del danno, infatti, nel sistema delineato dal legislatore per la messa alla prova non costituiscono una condizione per l’accesso al rito speciale (a differenza, ad esempio, di quanto è previsto in materia di accesso al patteggiamento con riferimento ad alcuni delitti contro la pubblica amministrazione o ai delitti tributari).

L’art. 168 bis, comma 2, c.p. e l’art. 464-bis c.p.p., comma 4, lett. b) dimostrano come, nel disegno del legislatore, il risarcimento del danno non costituisca una condizione di ammissibilità, bensì un contenuto del programma di trattamento, solo eventuale (“ove possibile”).

Il risarcimento del danno potrà, infatti, non essere “possibile” in ragione della natura del reato contestato, che non consente di configurare un danno risarcibile, dell’insussistenza o dell’irreparabilità della vittima o del danneggiato, ma anche delle condizioni economiche dell’imputato.

Tale disciplina consente anche di compensare l’assenza di risarcimento del danno con una maggiore durata delle prescrizioni comportamentali o con la previsione di ulteriori impegni specifici.