La Corte di Cassazione, Sezione V, con la sentenza n° 1223 del 13 gennaio 2021, si è pronunciata in tema di atti persecutori (c.d. stalking), reato previsto e punito dall’art. 612 bis c.p.

La questione sottoposta al vaglio della Suprema Corte riguardava le condotte persecutorie poste in essere dall’imputata ai danni di un uomo, consistite in numerose mail contenenti minacce di morte ed insulti, ed oggetto di un’ordinanza di custodia cautelare.

Secondo i Giudici della Corte, il reiterato invio di messaggi di posta elettronica, contenenti insulti e minacce di morte, costituisce una condotta invasiva, idonea a determinare uno degli eventi previsti dalla norma incriminatrice ex art. 612 bis c.p., nella specie individuato nel timore della persona offesa per l’incolumità propria e dei propri familiari.

Respinta la tesi sostenuta dalla ricorrente, secondo cui le comunicazioni asincrone, quali le mail, non avrebbero portata persecutoria in quanto il destinatario potrebbe cancellarle o evitare di leggerle.

Secondo i Giudici della Corte, l’invasività di una condotta non è data dall’effettiva o potenziale possibilità che la persona offesa attui dei meccanismi di difesa per arginarne gli effetti, perché, se e quando ciò avvenga, la condotta ha già esaurito la propria portata violativa dell’altrui sfera individuale, pregiudicata, appunto, già dal fatto di dover predisporre dei meccanismi di difesa, incidendo in tal modo sulla libertà morale di un individuo.

L’attuale notevole diffusione di questo sistema di comunicazione, adoperato sia per i propri contatti personali che per quelli professionali, ne fa una modalità relazionale che è diventata parte integrante della quotidianità delle persone, anche grazie al fatto che l’accesso alla propria casella di posta elettronica è oggi possibile dai moderni smartphone e tablet e non richiede neanche di utilizzare necessariamente un personal computer.