La Corte di Cassazione, Sezione II, con la sentenza n° 7242 del 2 agosto 2020, si è pronunciata in tema di correlazione tra accusa e sentenza  in caso di condanna per un fatto diverso da quello contestato.

Affermano i Giudici della Corte che, se in primo grado è stata pronunciata una condanna per fatto nuovo, circostanza o reato concorrente emersi in dibattimento e non contestati, la sentenza va annullata con trasmissione degli atti al giudice di primo grado; quando, invece, è pronunciata sentenza di condanna per un “fatto diverso” da quello contestato, si impone la regressione alla fase delle indagini preliminari e la trasmissione degli atti al pubblico ministero.

In tale ultimo caso, prosegue la Corte, non è applicabile la specifica disposizione ex art. 604 co I c.p.p. che impone la trasmissione degli atti al giudice di primo grado. Trova, invece, applicazione quanto previsto dal combinato disposto dell’art. 521 c.p.p. e dell’art. 598 c.p.p., dal quale si ricava che in caso di difetto di correlazione tra il fatto contestato ed il fatto rilevato impone la trasmissione degli atti al pubblico ministero (art. 521 co II c.p.p.).

In definitiva, quando la Corte di Appello rilevi che il Tribunale ha pronunciato una condanna per fatto nuovo, circostanza o reato concorrente emersi in dibattimento e non contestati come previsto dagli artt. 517 e 518 c.p.p., la sentenza di primo grado deve essere annullata e gli atti trasmessi al Tribunale. Quando, invece, la Corte di Appello pronuncia condanna per un “fatto diverso”, rilevando la discrasia tra prove raccolte e condotta cristallizzata nel capo d’imputazione, eventualmente anche dopo l’esercizio dei poteri di modifica dibattimentale dell’imputazione, si impone la regressione alla fase delle indagini.

In tale ultimo caso si verifica, infatti, una lesione integrale del diritto di difesa, sanabile solo con la regressione alla fase delle indagini.