La Corte di Cassazione, Sezione I, con la sentenza n° 1628 del 16 gennaio 2020, si è pronunciata in materia di procedibilità dei reati, con riferimento agli effetti che la sopravvenuta modifica del regime di procedibilità ha su una sentenza di condanna divenuta irrevocabile.

Nel caso in esame, la Corte di Appello di Milano, pronunciando quale giudice dell’esecuzione, rigettava l’istanza proposta dall’imputato, volta ad ottenere la revoca della sentenza di condanna, divenuta irrevocabile. A fondamento del proprio ricorso, la difesa lamentava la mancata rilevanza attribuita all’intervenuta modifica del regime di procedibilità dell’azione penale in ordine al delitto di cui all’art. 646 c.p. ad opera del D.Lgs. n. 36/2018, successivo alla formazione del giudicato di condanna.

Secondo i Giudici della Corte di Cassazione il sopravvenuto regime di procedibilità a querela, non integrando un elemento costitutivo della fattispecie penale, da cui dipenda la sua accertabile esistenza, non è idoneo ad operare l’abolitio criminis, capace di prevalere per la sua funzione abrogatrice sul giudicato e da determinare la revoca della sentenza di condanna in sede esecutiva ai sensi dell’art. 673 c.p.p.

La Corte ribadisce la natura sia sostanziale che processuale della querela, tale da concorrere a determinare i presupposti per l’attuazione del precetto penale nel caso concreto e da consentire l’applicazione retroattiva delle disposizioni favorevoli all’imputato, anche in tema di sostituzione del regime di procedibilità di ufficio con quello di procedibilità a querela. Tuttavia, osserva la Corte che tale principio vale esclusivamente in riferimento a rapporti processuali pendenti in sede di cognizione, per reati commessi in data antecedente, e non è validamente riferibile alla fase di esecuzione e, quindi, in relazione a sentenze divenute irrevocabili.