La Corte di Cassazione, Sezione III, con la sentenza n° 42132 del 15 ottobre 2019, si è pronunciata in tema di revisione delle sentenze di condanna ex art. 630 c.p.p., con specifico riferimento al concetto di “prova nuova” richiamato dalla lett.c).

Ai sensi dell’art. 630 comma 1 lett. c) c.p.p, la revisione può essere richiesta se dopo la condanna sono sopravvenute o si scoprono nuove prove che, sole o unite a quelle già valutate, dimostrano che il condannato deve essere prosciolto a norma dell’art. 631 c.p.p.

I Giudici della Suprema Corte affermano il seguente principio di diritto: per “prove nuove”, rilevanti a norma dell’art. 630 comma 1 lett. c) c.p.p. ai fini dell’ammissibilità della relativa istanza, devono intendersi non solo le prove sopravvenute alla sentenza definitiva di condanna e quelle scoperte successivamente ad essa, ma anche quelle non acquisite nel precedente giudizio ovvero acquisite ma non valutate neanche implicitamente, purché non si tratti di prove dichiarate inammissibili o ritenute superflue dal giudice, ed indipendentemente dalla circostanza che l’omessa conoscenza da parte di quest’ultimo sia imputabile a comportamento processuale negligente o addirittura doloso del condannato.

E’ ritenuta, altresì, ammissibile la richiesta di revisione sulla base di prove colpevolmente non indicate nel giudizio di cognizione o di prove ammesse nel giudizio e non acquisite per successiva rinuncia della parte.

Restano, invece, escluse dal concetto di “prove nuove” quelle la cui ammissione è stata revocata dal giudice perché considerate superflue. Il giudizio sulla superfluità può essere, infatti, contestato con gli ordinari mezzi di impugnazione.