La Corte di Cassazione, Sezione II, con la sentenza n° 38551 del 18 settembre 2019, si è pronunciata in materia di usura, con particolare riferimento all’ipotesi in cui l’iniziativa della pattuizione provenga dalla vittima e non dall’usuraio.

Secondo i Giudici della Suprema Corte, ai fini dell’integrazione del delitto di usura non è richiesta una condotta induttiva da parte di chi pone in essere la condotta usuraria, rilevando unicamente il carattere usurario (in senso oggettivo) delle condizioni pattuite, a nulla rilevando che esse siano state volontariamente accettate dalla persona offesa.

Ciò in quanto il nucleo essenziale dell’elemento oggettivo del reato di usura ex art. 644 c.p. consiste nel “farsi dare o promettere interessi o altri vantaggi usurari in corrispettivo di una prestazione di denaro o altra utilità”, e non nell’indurre taluno a farsi dare o promettere interessi o altri vantaggi usurari in corrispettivo di una prestazione di denaro o altra utilità.

Allo stesso modo, proseguono i Giudici, ai fini dell’integrazione del reato di usura non è richiesto che il suo autore assuma atteggiamenti intimidatori o minacciosi nei confronti della persona offesa, in quanto tali comportamenti caratterizzano la diversa fattispecie dell’estorsione.