La Sezione II della Corte di Cassazione, con la sentenza n° 4005 del 6 settembre 2018, è tornata ad occuparsi del reato di truffa consumato attraverso la vendita di prodotti online ed, in particolare, sulla sussistenza dell’aggravante comune dell’aver approfittato della minorata difesa della vittima, ex art. 61 n. 5) c.p.

In merito, la Corte ha affermato due principi di diritto.

Il primo, di carattere generale, prevede la sussistenza dell’aggravante della minorata difesa, con riferimento alle circostanze di luogo, note all’autore del reato e delle quali egli abbia approfittato, nell’ipotesi di truffa commessa attraverso la vendita di prodotti online. Tale particolare modalità di vendita (che di norma prevede un pagamento anticipato), infatti, consente all’agente di schermare la sua identità e di non sottoporre il prodotto venduto ad alcun controllo preventivo.

La Suprema Corte ha, tuttavia, affermato anche che, in tema di truffa online, è configurabile l’aggravante della minorata difesa, con riferimento all’approfittamento delle condizioni di luogo, solo quando l’autore abbia tratto, consapevolmente e in concreto, specifici vantaggi dall’utilizzazione dello strumento della rete.

Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto adeguatamente motivata la suindicata circostanza aggravante, valorizzando soprattutto il fatto che l’indagato aveva sempre nascosto la propria identità ai sfortunati acquirenti, utilizzando nei contatti via mail generalità incomplete. In questa particolare condotta i Giudici della Corte hanno ravvisato quel quid pluris necessario ai fini della configurabilità dell’aggravante in questione. Diversamente, è stato sostenuto, si determinerebbe un’inammissibile generalizzazione della circostanza aggravante in tutti i casi di truffa online, attribuendo natura di circostanza ad una delle possibili modalità di condotta di truffa.