La Corte di Cassazione, Sezione II, con la sentenza n° 12847 dell’8 marzo 2018, ha affermato il principio di diritto in base al quale, in tema di appropriazione indebita, non opera il principio della compensazione con credito preesistente, allorché si tratti di crediti non certi, né liquidi ed esigibili.

Ciò in quanto la ritenzione, in compensazione o in garanzia, di merce (in questo caso si trattava di somme di denaro relative ad onorari professionali) non costituisce appropriazione indebita ex art. 646 c.p. solo quando il credito vantato dall’agente nei confronti del proprietario della merce (n.d.r. somme di denaro) medesima è certo, liquido ed esigibile, ossia determinato nel suo ammontare e non controverso nel titolo.

La Suprema Corte è stata chiamata a pronunciarsi in merito ad una vicenda riguardante la presunta appropriazione indebita, da parte di un avvocato, di una parte delle somme liquidate in favore dei suoi assistiti, e versate sul suo conto corrente, a seguito dell’accoglimento dei ricorsi da questi presentati. Avvenuto il versamento da parte del debitore soccombente, l’imputato inviava ai clienti, a mezzo assegno, la somma risultante dalla differenza tra quanto ricevuto a seguito dei ricorsi e gli onorari dallo stesso quantificati con specifica notula allegata. Ciò in quanto, all’atto del conferimento dell’incarico, presso la sede dei sindacati, i clienti concordavano che gli onorari del professionista, comunque da quantificare, sarebbero stati versati solo ed esclusivamente in caso di accoglimento del ricorso.

L’istituto della compensazione c.d. legale, disciplinato dall’art. 1241 c.c. e ss., opera quando tra le parti sussistono dei rapporti reciproci di debito-credito. Tali rapporti, indipendenti tra loro e che possono essere sorti anche in tempi diversi, devono avere ad oggetto crediti di natura omogenea che risultino certi (nel senso che deve esistere il titolo sul quale il credito si fonda e definito il quantum); liquidi (cioè determinati nell’ammontare in base al titolo); esigibili (ovvero immediatamente azionabili).

Per liquidità, come ritenuto da Sez. Un. Civ. 13 settembre 2016 n. 17989, si intende che l’ammontare del credito e del “controcredito” devono essere entrambi “determinati”, vale a dire che la somma dovuta possa essere calcolata sulla base di “semplici operazioni aritmetiche“. Il credito, di contro, non può ritenersi liquido, cioè determinato nell’ammontare, qualora la quantificazione dello stesso non sia già pacificamente nota (perchè concordata e formalizzata) ovvero a questa non possa addivenirsi applicando “criteri stringenti” il cui risultato dia una somma, “una ed una soltanto”.

L’ulteriore requisito della esigibilità è, in tema di compensazione legale, sostanzialmente conseguenza della liquidità, che consente alle parti di procedere senza fare ricorso al giudice civile.

Nel caso in esame, il credito vantato dall’avvocato, che pure era certo in quanto allo stesso erano dovuti gli onorari per l’attività professionale prestata, non poteva e non può ritenersi liquido e, quindi, esigibile.

Infatti, nessuno dei clienti/parti civili aveva mai incontrato il professionista; i mandati, infatti, erano sempre stati conferiti presso le sedi di organizzazioni sindacali. Gli accordi intercorsi circa la quantificazione e corresponsione degli onorari non erano stati in alcun modo chiariti se non con generici riferimenti a percentuali delle somme che sarebbero state conseguite in caso di esito favorevole e, comunque, tali accordi, rimasti privi di formalizzazione, non venivano mai discussi dal cliente con l’avvocato.

Alla luce di tali considerazioni, secondo i Giudici della Corte, la illiquidità del credito, certo solo circa l’an ma non in relazione al quantum, esclude che possa ritenersi operante l’istituto della compensazione e, quindi, determina la sussistenza dell’elemento materiale del reato di appropriazione indebita.