Il 18 dicembre 2018 la Camera dei Deputati ha approvato in via definitiva il c.d. DDL Anticorruzione (Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione, nonché in materia di prescrizione del reato e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici), L. 9/1/2019 n. 3.
Il provvedimento approvato dalla Camera ha apportato modifiche al Decreto Legislativo 8 giugno 2001, n. 231, in particolare, attraverso l’art. 1 co. 9 L. 9/1/2019 n. 3
La prima rilevante novità riguarda l’inserimento, tra i reati presupposto, del reato di traffico di influenze illecite, previsto dall’art. 346 bis. c.p. Precisamente, all’art 25 comma 1, insieme ai delitti di corruzione per l’esercizio delle funzioni e di istigazione alla corruzione per l’esercizio delle funzioni, è previsto quello traffico di influenze illecite. Per tali delitti resta immutata la sanzione pecuniaria per l’ente fino a 200 quote e restano non applicabili le sanzioni interdittive, richiamate solo per i delitti di cui ai commi 2 e 3.
In merito al reato di traffico di influenze illecite, il DDL ha modificato l’art. 346 bis c.p. (richiamato dal citato art. 25 D.Lgs. 231/2001), di fatto assorbendo il reato di millantato credito in quello di traffico di influenze illecite.
Infatti il nuovo art. 346 bis c.p. prevede che “Chiunque, fuori dei casi di concorso nei reati di cui agli articoli 318, 319, 319-ter e nei reati di corruzione di cui all’articolo 322-bis, sfruttando o vantando relazioni esistenti o asserite con un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all’articolo 322-bis, indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altra utilità, come prezzo della propria mediazione illecita verso un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all’articolo 322-bis, ovvero per remunerarlo in relazione all’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri, è punito con la pena della reclusione da un anno a quattro anni e sei mesi.
La stessa pena si applica a chi indebitamente dà o promette denaro o altra utilità.
La pena è aumentata se il soggetto che indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altra utilità riveste la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di un pubblico servizio.
Le pene sono altresì aumentate se i fatti sono commessi in relazione all’esercizio di attività giudiziarie o per remunerare il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all’articolo 322-bis in relazione al compimento di un atto contrario ai doveri d’ufficio o all’omissione o al ritardo di un atto del suo ufficio”.
Il Legislatore, in definitiva, supera la distinzione tra le due fattispecie di reato, prevedendo un unico delitto di traffico di influenze illecite, che assorbe il reato di millantato credito, contestualmente abrogato. Chi assicura di poter influenzare un pubblico ufficiale viene punito ugualmente sia che lo abbia influenzato veramente, sia nel caso stesse mentendo.
Tornando alle modifiche apportate al D.Lgs. 231/2001, il DDL ha inasprito le sanzioni interdittive per alcuni reati contro la P.A.
Il previgente art 25 comma 5 prevedeva l’applicabilità delle misure interdittive (previste dall’art. 9 II co.) per un periodo non inferiore ad 1 anno e non superiore a 2 anni, in relazione ai delitti previsti nei commi 2 e 3 (concussione, corruzione propria, corruzione in atti giudiziari, induzione indebita a dare o promettere utilità, istigazione alla corruzione propria).
La nuova Legge aumenta la durata di tali misure interdittive, prevedendo una distinzione tra l’ipotesi che reato sia stato commesso dal soggetto apicale e l’ipotesi in cui il reato sia stato commesso dal soggetto sottoposto. Nel primo caso, la durata delle misure interdittive sarà compresa tra 4 e 7 anni; nel secondo caso, la durata sarà compresa tra 2 e 4 anni.
A questo rilevante inasprimento si è, tuttavia, aggiunta la riduzione di durata delle misure interdittive per condotte collaborative. Dopo il comma 5 è aggiunto il seguente: “5-bis. Se prima della sentenza di primo grado l’ente si è efficacemente adoperato per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, per assicurare le prove dei reati e per l’individuazione dei responsabili ovvero per il sequestro delle somme o altre utilità trasferite e ha eliminato le carenze organizzative che hanno determinato il reato mediante l’adozione e l’attuazione di modelli organizzativi idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi, le sanzioni interdittive hanno la durata stabilita dall’articolo 13, comma 2”.
Resta fermo quanto disposto dall’art. 17 D.Lgs. 231/2001.
Sul punto, l’art 17 opera in riferimento a tutti i reati-presupposto, mentre il comma 5-bis dell’art 25 solo per alcuni reati contro la P.A. L’art 17 consente, a determinate condizioni, l’esclusione delle misure interdittive; il comma 5-bis dell’art 25 solo la riduzione della durata. Le due norme, inoltre, prevedono termini diversi per gli adempimenti: la dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado per l’art 17; la sentenza di condanna di primo grado per l’art. 25 comma 5-bis. Quanto alle condizioni, l’ art 25 comma 5-bis, richiede, a differenza dell’art. 17, che l’ente si sia efficacemente adoperato per assicurare le prove dei reati e per l’individuazione dei responsabili.
Infine, in materia di durata massima delle misure cautelari applicabili all’ente, la nuova Legge prevede all’articolo 51: 1) al comma 1, le parole: “ la metà del termine massimo indicato dall’articolo 13, comma 2 “ sono sostituite dalle seguenti: “ un anno “; 2) al comma 2, secondo periodo, le parole: “ i due terzi del termine massimo indicato dall’articolo 13, comma 2 “ sono sostituite dalle seguenti: “ un anno e quattro mesi “.